Simbolo e Alchimia nell'Arte di Luisa Del Campana

La Mostra di Luisa Del Campana, “Tempo di Medioevo”, non ci trasporta solo in quel mondo di leggende, fiabe, armi ed eroi, che il nostro immaginario contemporaneo associa comunemente al tempo “storico” del medioevo, ma ci invita a intraprendere un viaggio, affascinante e intrigante, sospeso tra segni e sogni, allegorie e simboli, ora palesi ora abilmente celati.


La Mostra di Luisa Del Campana, “Tempo di Medioevo”, non ci trasporta solo in quel mondo di leggende, fiabe, armi ed eroi, che il nostro immaginario contemporaneo associa comunemente al tempo “storico” del medioevo, ma ci invita a intraprendere un viaggio, affascinante e intrigante, sospeso tra segni e sogni, allegorie e simboli, ora palesi ora abilmente celati. Invito a percorrere un itinerario, più interiore che esteriore, che ci porta ai confini tra reale e immaginario – o dove l’immaginario fa parte della realtà –, in un luogo d’elezione, un luogo “senza luogo” e “senza tempo”. Un “luogo” dove ancora possono accadere magie, e dove l’uomo può ancora sperare di operare trasmutazioni alchemiche, del metallo vile in oro, o può tentare di realizzare una profonda elevazione interiore e spirituale!
Luogo d’incanto e di magie, ma anche luogo “reale” e “carnale” dove chi sa “vedere” e “pensare col cuore” può ricevere doni inimmaginabili. Ma per questo occorre andare al di là delle pennellate, o delle figure, o delle immagini, o dei segni: “Ci sono cose – avverte Sant’Agostino – che sono soltanto cose ed altre che sono anche segni… Tra questi segni, alcuni sono solo dei segnali, altri dei contrassegni o degli attributi, altri ancora dei simboli”, e dunque occorre andare al di là delle cose e di ciò che a prima vista sembrano significare, ed entrare nel mondo dei “simboli”, che parlano a chi sa vedere e ascoltare.
Ma se nel tempo medievale “Il simbolo è un modo di pensare e di sentire talmente intrinseco e connaturato agli autori del Medioevo, che non avvertono il minimo bisogno di informare i lettori delle loro intenzioni semantiche o didattiche, né di definire puntualmente i termini che useranno” (M. Pastoureau), ai giorni nostri, cogli occhi e col cuore avvelenati da mille e mille immagini che inquinano la mente in un gioco estetizzante subdolo quanto ingannevole, forse qualche indizio, seppure fuggevole, di lettura, tra le opere di Luisa Del Campana, potrebbe essere utile.
Con rapide pennellate vediamone qualcuno.

Caratteristica saliente dell’Artista, insieme all’uso raffinato dei simboli, è l’uso sapiente dei colori, che ora chiarificano, ora rafforzano, e ora riaffermano i simboli stessi; colori usati dall’Artista non soltanto come fenomeno fisico e percettivo, ma come costruzione culturale complessa da cui si può “comprendere” tutta una serie di realtà altrimenti incomprensibili.
Prendiamo, ad esempio, l’opera dal titolo Firefitz, che vede un Padre cavaliere armato su drappo “bianco”, una Madre dal volto “nero”, e il loro bambino. Il colore “nero” del volto della Madre è qui da intendere nel suo senso superiore (e non inferiore come comunemente si interpreta) che simboleggia essenzialmente lo stato principiale di non-manifestazione: unito al “bianco” del Padre, i due rappresentano il non-manifestato e il manifestato, l’immortale e il mortale, il “Sé” e l’“io”, come in altre latitudini culturali Krishna “nero” e Arjuna “bianco”. I due colori rimandano anche al Cielo e alla Terra, considerando però che qui è il nero che si riferisce al Cielo (come anche nel caso della Madonna nera), e il bianco alla terra. Il bambino, figlio di entrambi, è pronto alla lotta, come si evince dalla freccia, simbolo solare che rappresenta i raggi del sole, attributo del guerriero, e dai calzari rossi, simbolo di brace, fuoco e sangue, e dunque di potere e di forza.
Ma a parte la complessa simbologia iconica e coloristica, è da rimarcare l’insieme dei colori a cui ricorre qui (ma anche in altre opere) l’Artista anche con valenza alchimistica: nero-bianco-rosso-giallo (oro), che questo passo di Zosimo aiuta a comprendere: “Prendi la pietra filosofale, quella nera, bianca, rossa e gialla… dalla sua amarezza trarrai il colore che trasforma ogni cosa”!

Il Draco Magnus arricchisce, nel simbolismo dei colori, l’opera precedente, perché qui il bianco (cavallo) e il giallo-oro (cavaliere) pronti a combattere contro il Drago – potenza dal simbolismo, in occidente, ctonio, distruttivo, maligno – sembrano uscire dal “grigio”, colore assimilabile all’argento, a valenza femminile così come si può evincere dall’abbinamento grigio-argento-luna-femminile, e dunque complementare del cavaliere-oro-maschile.

Per restare alla simbologia del cavaliere, notevole anche la forza espressiva e l’energia trattenuta, e perciò pronta ad esplodere, furiosa e vincente, del guerriero che rappresenta l’Immobilità, e che simboleggia l’“Eterno Ora”, il nunc stans, ovvero lo stato incondizionato dell’essere, il presente non-duale; facile il richiamo al “motore immobile” ma anche al wu-wei>, all’“agire senza agire” taoista. Nell’iconografia l’immobilità esprime inflessibilità e impassibilità, ma anche imparzialità sovrumana. Quale immagine migliore, da concepire iconograficamente, per un guerriero?

L’oro-giallo del cuore risalta ancor di più nel Vegliante fuori le mura. L’oro, equilibrio di tutte le qualità metalliche, è il sole, l’illuminazione, ciò che è luminoso di per sé, durevole e incorruttibile, è la qualità del Sacro.
L’oro-giallo dal punto di vista della simbologia dei colori è “il colore più prossimo alla luce”, come dice Goethe, e dal punto di vista alchemico simboleggia “l’oro vivente”, prodotto dall’interazione fra zolfo e argento vivo, principio maschile e femminile: è la “Grande Opera” che ci traghetta ad un altro olio su tavola di Del Campana, Sintesi alchemica, esplicitamente e dichiaratamente di ispirazione alchimistica. In quest’opera campeggia un grande sole, i cui raggi, riflessi in uno specchio, colpiscono un alambicco. Il Sole (l’oro) è il supremo potere cosmico, il centro dell’essere e della conoscenza intuitiva, perché figlio del dio del Cielo, da cui eredita uno degli attributi più importanti di questo dio: vedere tutto e, di conseguenza, sapere tutto. “Non esiste cosa visibile in tutto il mondo – afferma Dante –, più degna del sole per fungere da simbolo di Dio, poiché esso illumina con vita visibile prima se stesso, poi tutti i corpi celesti e terreni”. Ecco perché in India Sûrya è l’occhio di Varuna, in Persia è quello di Ahura Mazda, in Grecia Helios è l’occhio di Zeus, in Egitto è l’occhio di Ra.
L’alchimia lo considera “oro preparato per l’opera” o “zolfo filosofico”, in contrapposizione alla luna e al mercurio, che è lunare. Ma qui forse prevale il concetto alchemico del sole in homine, inteso come sostanza invisibile che deriva dal sole celeste e favorisce il fuoco nascente nell’uomo. Infatti i raggi del sole colpiscono un cerchio inscritto in uno specchio quadrato: specchio dell’anima che, purificato, s’indirizza nella cucurbita (la caldaia in cui si introduce la sostanza da distillare) di un alambicco donde nasceranno, opportunamente distillate e purificate, la forza e l’energia per fecondare la terra.

Molte ancora – in questo magico, complesso e affascinante percorso che con arte raffinata ci offre Luisa Del Campana – le tracce da seguire, molti gli indizi da dipanare, molti ancora i segni da decifrare, in una serqua continua e gioiosa di immagini, allegorie e simboli, iconografici, coloristici ed ermetici, che si intrecciano, saldi, al cuore e alla mente dello spettatore più attento.
Così, e lasciamo volontariamente il problema in parte insoluto, l’immagine filosoficamente paradossale della Dialettica, una “sophia” che srotola il fuso.
Il fuso e la rocca, così come l’azione del filare, simboleggiano la vita e la durata. Il fuso è anche simbolo della Magna Mater, che fila su una montagna di pietra, o nella cavità dell’albero del mondo (ecco perché il fuso è considerato un attributo di tutte le dee Madri).
Il filo è ciò che lega l’universo insieme e del quale l’universo è intessuto. Sicché il fato è filato e tessuto da un potere divino. La spirale ruotante del fuso, infatti, simboleggia le rivoluzioni dell’universo, mentre filare e tessere rappresentano, tradizionalmente, alcuni aspetti del principio femminile, ovvero la sua abilità nel “tessere il destino”. Ma l’immagine della Magna Mater-Sophia Dialettica ci offre ancora un ultimo mistero, profondo e apparentemente insolubile: un volto privo di forme, vuoto, che si riflette in uno specchio vuoto!
Unico indizio: il principio femminile è sì abile nel tessere il destino, ma è anche abilissimo nel tessere il velo del mondo dell’illusione!“Ars est celare artem”.

Francesco Solitario
Università di Siena/Arezzo