“Dipingere è per me l’opportunità di poter vivere l’aspirazione ad armonie ed equilibri sempre più profondi…I Grandi del passato hanno lasciato dei segni, delle orme; quando dipingo è come camminare su queste per decifrarle e ridisegnarle con uno sguardo che va sempre oltre”
“Dipingere è per me l’opportunità di poter vivere l’aspirazione ad armonie ed equilibri sempre più profondi…I Grandi del passato hanno lasciato dei segni, delle orme; quando dipingo è come camminare su queste per decifrarle e ridisegnarle con uno sguardo che va sempre oltre…[1]”.
Di fronte alle grandi tele di Luisa Del Campana lo sguardo è come catturato dal gioco sapiente dei colori, dalle figure e dai soggetti fortemente volumetrici e impalpabilmente eterei ad un tempo. Un dipingere nel quale il linguaggio ed i colori di un passato, divenuto quasi atemporale per il trascorrere dei secoli, si fondono con i tratti e le cromie irreali dell’Espressionismo, dove la campitura, rinnegando la prospettiva classica, “medievalizza” l’eredità cubista.[2]
Ed infatti “Tempo di Medioevo” potremmo dire osservando la presentazione delle sue opere a Monreale, nel suggestivo ambiente appena restaurato, l’ex complesso benedettino oggi sede del Museo Civico, perché i temi affrontati dall’artista rievocano questa affascinante quanto ancora misteriosa epoca storica la quale, all’alba del nuovo Millennio, quasi all’improvviso, vide una rinascita in tutti i settori della vita: nelle arti, nelle scienze, nell’economia e fu protagonista di un nuovo fermento spirituale al quale l’arte di Luisa del Campana si ispira utilizzando la chiave del simbolismo ricorrendo al linguaggio alchemico, oppure rifacendosi al simbolismo dell’ideale cavalleresco, fino a utilizzare la simbolica della mistica cristiana per esprimere al fine un unico concetto: che l’uomo e la donna da sempre aspirano alla felicità e che la pace dagli affanni, l’appagamento da ogni insoddisfazione, si ottiene solo “mirando” verso un’unica direzione, avendo un unico obiettivo, operando un energico lavoro di rinnovamento interiore che a volte si presenta come un vero e proprio combattimento, una battaglia spirituale[3] che, se condotta nel modo giusto, è senz’altro vincente perché, come afferma con certezza e senza dubbi Dante che ben interpretò la spiritualità del suo tempo, “Se tu segui tua stella non puoi fallire a glorioso porto”[4].
L’intento di Luisa del Campana è comunicare attraverso l’immagine l’ esigenza profonda dell’uomo e della donna di porre fine a quel gioco degli opposti che spesso tormenta l’anima, esprimendo l’aspirazione a raggiungere la quiete e quindi una meta finale, che non è un traguardo qualsiasi ma quel “glorioso porto” di cui parla il Sommo Vate.
Il tutto è espresso con una energia e un dinamismo che coinvolgono e incantano lo spettatore, lo invitano a “guardarsi” dentro, a riflettere sulla propria condizione ed è capace di trasmettere l’entusiasmo e l’impulso ad un movimento, a non rimanere statici, chiusi nel proprio immobilismo interiore[5], ma a darsi da fare per realizzare in se stessi quella che gli alchimisti chiamavano la “Grande Opera”.
L’artista trae ispirazione dai grandi pensatori che hanno fatto la storia dell’Umanità, i quali hanno dedicato la propria esistenza a scuotere le coscienze dall’ oblio generale e risvegliarle alla vita dello spirito. Alcuni di loro hanno affidato ai simboli e ai miti il compito di tramandare questo messaggio affinché rimanesse immutabile nel tempo. Infatti il simbolo è una chiave universale perché rimane sempre vivo e valido al di là del tempo e dello spazio, anche a distanza di secoli conserva la sua forza e la capacità di parlare in sintesi all’interiorità dell’individuo e ancora oggi mantiene intatta la sua attualità.
Soffermandoci su ognuna di queste grandi tele si intravede un filo conduttore che le lega tutte quante. Ogni immagine costituisce il tassello di un percorso simbolico, da leggere come il viaggio che un’anima decide di affrontare mossa dalla necessità di comprendere l’origine di ogni inquietudine e turbamento.
Il traguardo è raffigurato nelle due opere “Anime Spose” e “Rebis” le quali si ispirano a due concetti che sono associabili tra loro pur appartenendo a due tradizioni diverse, l’una alla simbolica cristiana delle nozze mistiche, l’altra al simbolismo alchemico dell’androgino, due linguaggi diversi che hanno come comune denominatore l’Amore, grandemente celebrato in questa epoca storica alla quale l’artista si ispira. Basta pensare al movimento del “Dolce stil novo” e dei “Fedeli d’Amore”.
E la mente e il cuore torna a Dante e alla sua “Divina Commedia” nella quale il Divino Poeta narra di una particolare esperienza, di rapimenti estatici e di visioni. Giunto il momento in cui dovrà riprendere il suo cammino nel mondo, il Vate ci fa partecipe di una grande verità; a conclusione del suo viaggio, dopo aver disceso i gironi infernali, salito il monte del Purgatorio , asceso i cieli del Paradiso fino a contemplare la Rosa Mistica e ancora oltre, raggiunta la sommità dell’Empireo, conclude affermando che da questa grande avventura ha acquisito una profonda conoscenza: che é“Amor che move il sole e l’altre stelle”.[6] E’ la consapevolezza che tutto nell’Universo è mosso dall’Amore, Sommo Bene, Bellezza Assoluta, Armonia Perfetta, Misericordia Infinita, Giustizia Inappellabile, Sapienza Indefettibile, Puro Intelletto … e che tutto è mosso da questo Fuoco che è fuoco d’Amore, vita stessa dell’Universo, senza il quale nulla esisterebbe.
Così si conclude la Divina Commedia. E’ la conquista di un’intima certezza capace di cambiare il senso della vita a chiunque l’acquisisca nella profondità della propria coscienza.
Il discorso artistico di Luisa del Campana dunque, delinea un itinerario “sulle orme” dei Grandi, che conduce ad una meta finale a cui aspira l’ anima in cammino e che si realizza attraverso l’Amore, quel tipo di Amore di cui parla Dante, carburante, fuoco e motore propulsivo, capace di muovere il visibile e l’invisibile, ingrediente fondamentale per una realizzazione interiore che necessita di tutto un lavoro di purificazione per arrivare ad una illuminazione e da qui, ad una perfezione che consiste nel ristabilire quella saldatura iniziale, originaria, che nella simbolica cristiana prende il nome di Nozze Mistiche[7] e nella tradizione alchemica di Androgino (dal greco andros -uomo e gynè –donna) e che è rappresentato dal Rebis.
Il Rebis[8], che significa “cosa doppia”, ci riporta a quel mito delle origini attribuito a Ermete Trismegisto[9], che ritroviamo poi nel Genesi di Mosè con il mito di Adamo ed Eva[10] e che Platone[11] racconta nel Simposio o Convivio (189-193 a.C.) .
L’androgino esprime l’essere umano interiore nel quale le due polarità maschile e femminile hanno ritrovato la suprema armonia, vincendo le forze istintive e di cui troviamo traccia anche nella tradizione cristiana[12]
Un punto d’arrivo che necessita di un lungo lavoro interiore, espresso tappa dopo tappa nel cammino artistico dell’autrice che diventa il cammino di un’anima.
Non è facile concepire tutto questo, perchè lontano dalla nostra mentalità, dal nostro raggio d’azione, dalla nostra visuale. Si riesce con difficoltà a metterlo a fuoco, sfugge, ed è ancora più difficile pensare di realizzarlo. Infatti nel simbolismo adottato dall’artista chi compie questa impresa non è un uomo comune, ma è il “Cavaliere”, vero protagonista dell’arte di Luisa del Campana.
Ed infatti cavalieri possenti, massicci, giganteschi e minacciosi, animano, dominano, a volte incombono sulla scena come macchine da guerra pronte all’assalto. Quello che emerge al primo impatto è quindi questo simbolismo legato all’ideale cavalleresco e a quella speciale letteratura medievale[13] che narra di cavalieri ed eroi impegnati in fantastiche e pericolose avventure con insidie e prove da superare, combattimenti da affrontare, dame da difendere, castelli da liberare, incantesimi da sciogliere per trovare la via che conduce ad una meta finale tanto preziosa che vale la pena rischiare la stessa vita e che è rappresentata dalla visione e conquista del Graal.
Una lettura, questa, che se non si affronta con l’occhio giusto può apparire assurda e irreale, priva di interesse per noi uomini e donne del terzo millennio e che invece diventa interessante e attuale se si tiene conto di questo simbolismo e del fatto che vuole, in codice, indicarci qualcosa di molto prezioso.
E nelle tele della pittrice toscana è espresso lo stesso concetto. Protagonista è il cavaliere, ben corazzato con le armi in pugno per opporsi a draghi minacciosi e inquietanti[14] .
Il Cavaliere esprime così la creatura che decide ad un certo punto della sua vita di operare una inversione di marcia, di cambiare rotta, che animata da una insoddisfazione interiore, è spinta, come se rispondesse ad una chiamata lontana, ad iniziare una ricerca e quindi un viaggio che lo porterà nella profondità della propria coscienza per trovare un qualcosa di molto importante, un luogo che è dentro di noi ma che non è facile trovare, che è a portata di mano, vicinissimo e nello stesso tempo lontano, evidente, ma nascosto e misterioso.
Nella simbolica si dice sia un tesoro a cui è difficile accedere e per conquistarlo il Cavaliere deve cimentarsi in una vera e propria battaglia. Il linguaggio guerriero esprime una lotta interiore che non ha dei nemici visibili da affrontare, ma invisibili, tenaci, sottili, subdoli che si annidano nella profondità della coscienza, simboleggiati da un mostro o da un drago[15], indicanti quelle forze che affascinano, ammaliano, seducono, incantano l’anima e la tengono prigioniera in un addormentamento, in un sonno che impedisce di vedere e capire l’origine di quella insoddisfazione. Il drago secondo la tradizione prende caratteristiche diverse, dalla psicologia viene chiamato inconscio, spesso identificato come “la cieca forza istintiva”, nel linguaggio alchemico prende il nome di “luce astrale”. Contro di lui il Cavaliere deve opporre la sua forza di volontà e di fede, combattere per liberarsi dalla sua morsa che incatena l’anima e tiene legata la coscienza al mondo dell’illusione..
Il mostro è visto anche come il guardiano minaccioso che impedisce l’accesso a quel tesoro che è dentro di noi la cui conquista permettere di varcare le “Stanze del Palazzo”.
Come lo si classifichi secondo le varie simbologie, il drago e il mostro rappresenta, in sostanza, l’eterna lotta dell’uomo per uccidere in se stesso il demone e far vivere l’angelo[16].
Per affrontare questo mostro dell’inconscio l’uomo- cavaliere non solo deve essere ben armato[17], ma conoscere l’arte del combattimento. Occorre cioè che sviluppi quelle qualità indispensabili per percorrere questa avventura e necessita di un metodo e di una guida, non può fare da solo, pena lo smarrimento.
Simbolici sono anche i colori usati nella pittura[18]: “ volutamente ho ignorato quelli che richiamano ai colori della terra, della vegetazione, delle cose o persone viste secondo gli occhi fisici in una visione esterna. Tutto è visto con gli occhi dell’anima per indirizzare la sensibilità verso il mondo interiore con le sue lotte e la sua ricerca del Principio.”[19]
Per certi aspetti quest’arte ci richiama all’arte dell’Icona che si sviluppò nella Chiesa d’Oriente nella stessa epoca che vide svilupparsi in Occidente quella letteratura e quei movimenti a cui Luisa del Campana si ispira: “ Nel dipingere i soggetti prescelti ho volutamente trascurato le dimensioni naturalistiche, la tridimensionalità e la prospettiva per dare alle immagini una forte valenza simbolica nella quale conta il modo di vivere e di sentire più che l’oggettività del vedere. I drappi e le tende che spesso incorniciano le mie opere stanno ad indicare che ciò che viene rappresentato si rivolge simbolicamente alle forze interiori racchiuse nella scenografia delle realtà apparenti.”[20]
Per concludere non possiamo tacere che la profondità e la ricchezza dei temi trattati da Luisa del Campana sono il frutto di una ricerca interiore e di una elaborazione di principi che trova fondamento nell’incontro con l’Archeosofia[21] e il suo fondatore Tommaso Palamidessi.[22]
[1] Tratto da una conversazione con l’artista
[2] Tratto liberamente dalla presentazione del critico d’arte Gianpaolo Trotta, curatore della Mostra di Luisa del Campana inaugurata a Monreale il 28 Gennaio 2006 presso il Museo Civico
[3] vedi la tela “Il Combattimento”
[4] Dante Alighieri: Divina Commedia Inf. Canto V°
[5] vedi le opere “Immobilità” e “Imprigionato dal Sonno”
[6] Divina Commedia, Paradiso canto XXXIII°
[7] Questa condizione è espressa in forma poetica nel Cantico dei Cantici, canto d’amore tra lo sposo e la sposa, tra il Cristo e l’anima che tende a lui in uno slancio d’amore fino a raggiungere con lui le nozze mistiche (vedi Origene “Commento al Cantico dei Cantici”, Bernardo di Chiaravalle “Omelie sul Cantico dei Cantici”).
[8] Rebis è una figura simbolica pubblicata da Basilio Valentino in un opera ermetica Trattato dell’Azoth.. Gli Alchimisti lo assimilano all’androgino: materia sufficiente a sé medesima per “mettere al mondo il fanciullo regale più perfetto dei suoi genitori”. (Chevalier – Gheerbrant “Dizionario dei Simboli”
[9] Il filosofo platonico (II sec. d.C.) Clemente Alessandrino negli Stromata ci tramanda che gli Egiziani raccolsero tutta la loro tradizione sapienziale in quarantadue libri attribuiti al genio di Thoth, che i greci chiamarono Ermete Trismegisto, cioè tre volte grande come Re, Filosofo e Profeta. Ad esso è attribuito il “Corpus Hermeticum”,un insieme di insegnamenti che furono detti “ermetici”. La Tavola Smeraldina che ne è una sintesi è considerata il fondamento dell’Ermetismo.
[10] Nel mito biblico il nome Eva vuol dire “la vita”, “la vivente”, “madre dei viventi”. Per la Tradizione la separazione della donna-vita dal così detto androgino è connessa con la caduta e termina con l’esclusione di Adamo dall’Albero della Vita, affinché questi “non divenga uno di noi (un Dio)” e “non viva in perpetuo” (Genesi,III,22).
[11] Platone in questo mito narra che ai primordi esisteva un genere di uomini l’ androgino, che non era maschio o femmina ma era tutte e due, con le caratteristiche sia del maschio che della femmina, talmente forte e arrogante da osare scalare l’Olimpo e diventare come gli dei. Zeus decise di separare in lui le due nature, la natura femminile da quella maschile per indebolirlo. Fu allora che nacque nell’uomo la sofferenza del distacco e il desiderio di una parte di ricongiungersi all’altra per ricostituire l’antica natura
[12] “Allorché di due farete uno, allorchè farete la parte interna come l’esterna, la parte esterna come l’interna e la parte superiore come l’inferiore, allorché del maschio e della femmina farete un unico essere sicché non ci sia più né maschio né femmina… allora entrere nel Regno (Vg. Copto di Tom) (Mt.18,3; 19,5-6; 1 Cor.14,20)
“lo stesso Signore infatti interrogato da qualcuno quando verrà il regno rispose “Quando i due saranno uno, quando l’esterno sarà come l’interno, il maschio come la femmina, quando non ci sarà né maschio né femmina…quando farete ciò, disse, verrà il regno del Padre mio” ( vedi Clemente Alessandrino: Stromata III- 13,92)
[13]la letteratura del Graal si sviluppò dal 1175 al 1230 circa con testi manoscritti in prosa o in versi. Fra i più popolari e antichi citiamo il Perceval di Chretien de Troyes, uno dei più famosi poeti della Francia settentrionale. Ma il più significativo per la ricchezza dottrinale è considerato il Parzifal di Wolfram von Eschenbach, conosciuto come “minnesinger” bavarese.
[14] vedi le tele: “Il Drago Rosso”, “L’Alito del Drago”, “Draco Magnus”.
[15] Il Cavaliere e il Drago richiama il mito di San Giorgio che affonda le sue radici in un passato lontano che precede il Cristianesimo es: il mito greco di Teseo e il Minotauro
[16] Vedi la tela “Alambicco”
[17] Vedi le tele: “Arciere”, “ Cavaliere Azzurro”, “ Scudo del Cavaliere”, “Vegliante”.
[18] Per il simbolismo dei colori vedi Tommaso Palamidessi “L’Icona, I Colori e l’Ascesi Artistica” ed. Arkeios distribuito da Ed. Mediterranee.
[19] Tratto da una conversazione con l’artista
[20] idem
[21] Archeosofia – dottrina pratico-teorica elaborata da Tommaso Palamidessi. E’ la scienza dei principi, lo studio delle Cause Prime, o Scienza di Dio come Principio Assoluto di ogni cosa creata. Archeosofia è un vocabolo proposto dall’Autore che lo ha dedotto dalle voci greche archè=principio e sofia=sapienza. Nel duplice aspetto di esperienza di vita e dottrina teoretica, ha lo scopo specifico di scuotere la coscienza per la ricerca e la conquista della verità quale Bene necessario.
[22] Per un approfondimento delle tematiche trattate vedi i Quaderni di Archeosofia di Tommaso Palamidessi, in particolare: Q.11° “L’Ascesi Mistica e La Meditazione sul Cuore ”, Q.14° “La Via dei Simboli e la Trasmutazione Spirituale”, Q.18° “Esperienza misterica del Santo Graal”.
di Miriam Parricchi studiosa di Simbolismo
Articolo pubblicato su Biblos 2006